Mare/Terra. Città e porto. Confini e conflitti

By: Enrico Fravega, Laboratorio di Sociologia Visuale (Genova)

On: 13-03-2017

Photo credits: Massimo Cannarella. Genova. (Laboratorio Sociologia Visuale)

I confini non esistono. Ovvero, esistono solo come definizioni convenzionali. Attraverso l’identificazione di una linea di “spartiacque”, per esempio, cui si attribuiscono anche significati di divisione di uomini, lingue, monete e norme. O attraverso l’attribuzione di valore simbolico a una sbarra o a un cancello. Persino i muri, anche quando sono diventati grandi come il Vallo di Adriano o la Grande Muraglia, hanno incarnato l’idea di confine solo per il valore che, chi li ha costruiti e chi voleva varcarli, attribuiva loro. Perché, come la storia ha ampiamente messo in luce, non hanno mai fermato né i passaggi dei popoli da una parte all’altra della linea, né le relazioni tra essi.  
Tra tutti i confini, uno dei più impalpabili, o improbabili, è quello tra terra e mare. Una linea immaginaria, in perenne movimento, impossibile da cartografare se non nei suoi eventi maggiori. Come la scomparsa di intere spiagge, lo spostamento degli estuari fluviali, la creazione o l’interramento di porti o il ridisegno di tratti costieri (a seguito di eventi naturali o per mano dell’uomo). 
Infrastrutture costruite sulla battigia, i porti, si configurano come spazi definitivamente provvisori. Luoghi continuamente (dis)organizzati per trasbordare merci e persone. Permanentemente in evoluzione. Un porto non è mai fermo: quotidianamente si tombano calate, si allungano banchine, si spostano gli ormeggi, si dragano i fondali, si accorciano i moli. Per dare spazio a navi di nuova generazione, a scafi sempre più grandi o a nuove tecnologie di trasbordo. I porti sono momenti di connessione tra le infrastrutture del trasporto marittimo (navi) e le infrastrutture di trasporto terrestre (ovvero tutto quello che va su gomma o su ferro). Ambiti spaziotemporali distaccati, muti, apparentemente extraterritoriali, sono in realtà vettori di un continuo processo di trasformazione del paesaggio, in cui si incontrano/scontrano i tempi e gli spazi della logistica, della produzione, della finanza e della vita urbana, i tracciati e i ritmi della città. Sono luoghi nei quali una fitta trama di reti di connessioni e di disegni infrastrutturali si intreccia e collide con le convenzioni precarie che definiscono l’uso degli spazi urbani (i modi di abitare, produrre, attraversare, consumare una città stretta come Genova, traducendosi spesso in conflitti e configurandosi al tempo stesso come fonti di identità storica e sociale).
Leggere il presente di queste dinamiche, risalendo indietro nel tempo, richiede dunque l’elaborazione di un’analisi dei rapporti tra le strutture dello spazio fisico e le strutture dello spazio sociale, tra l’astrazione di piani infrastrutturali e l’immediatezza di pratiche ed esperienze situate, nonché un lavoro di carattere genealogico sulle modalità attraverso le quali la tensione tra la città come spazio dei luoghi e la città come spazio dei flussi produce nuove forme di estrazione di valore e a nuove forme di deprivazione e dispossession.
Nella conformazione architettonica degli spazi, nel disegno dei confini tra tipi diversi di spazio, nelle modificazioni che spazi e confini registrano nel tempo e nei progetti di trasformazione del waterfront, così come del tracciato delle infrastrutture, sono riconoscibili tanto i segni di un ordine simbolico del potere, quanto il carico di conseguenze (reali) sulla vita delle persone.
I processi di riconfigurazione urbanistica tra territori con funzioni radicalmente diverse sono dunque l’oggetto di un confronto collettivo, articolato in un percorso storico ultradecennale, i cui esiti si misurano su almeno tre piani: quello della localizzazione nello spazio fisico (nel quale la rendita è definita dalla vicinanza con altre risorse); quello dell’occupazione (nel quale la rendita deriva dalla possibilità di escludere altri) e quello del rango, che deriva dall’inserimento in un ordine gerarchico e che dà luogo a dinamiche di scaling (o re-scaling), come, ad esempio l’inserimento di un porto nelle classifiche dei principali porti di un paese, una regione o un continente. Tre livelli che individuano diverse unità di misura e diversi principi di legittimazione – il valore immobiliare e l’efficienza economica nel primo caso; il grado di apertura del contesto economico e la possibilità, perlomeno per alcuni degli attori, di posizionare barriere all’ingresso (es. il numero dei terminalisti di uno scalo) determinando una gerarchia, nel secondo; l’inserimento in un ordine globale definito da un valore astratto (es. i TEU trattati da ogni porto) nell’ultimo caso – cui i diversi attori sociali si richiamano per la definizione della vera posta in gioco: le politiche pubbliche di governo dello spazio.